Le criticità sono evidenti in special modo nella ns. Regione.
La politica non riesce ad attivarsi al fine di procedere attraverso politiche attive ed adeguate.
Scuola e Sanità non possono essere gestiste come aziende private.
di Walter Moro del 15 giugno 2015
Vorrei inquadrare il
problema della dispersione partendo da alcuni dati: l’Italia entro il 2020 deve
abbattere la dispersione di 10 punti percentuale, questo significa che il
nostro Paese in soli cinque anni dovrebbe garantire il 90% di diplomati contro una
media attuale che si assesta intorno al 70%. Se si disaggregano i dati, la
dispersione risulta più accentuata nel mezzogiorno, con punte del 30% e, in
particolare, il tasso più elevato si registra negli istituti tecnici e negli
istituti professionali; interessa inoltre più la componente maschile rispetti a
quella femminile e la percentuale di dispersione diventa significativa quando
riguarda gli alunni di nazionalità straniera.
Nel novembre scorso la
VII Commissione della Camera dei Deputati ha pubblicato sulla dispersione un
rapporto dettagliato e l’on. Santerini, da me intervistata, ha proposto al
Governo “di istituire una unità di crisi, una task force”, capace di mettere in
relazione le istituzioni (Miur, il Ministero del lavoro, le Regioni, gli enti
locali, le associazioni…) per affrontare in modo coordinato e sistemico il
fenomeno della dispersione. Di questa proposta sinora non c’è stata una
traduzione operativa.
Nel Disegno di Legge
in discussione al Senato ci sono alcuni passaggi che richiamano la necessità di
intervenire sul tema della dispersione, ma non ci sembra che questo argomento
così rilevante anche sul piano socio-economico, venga data una priorità
specifica.
Partiamo allora da
questo punto, dai costi economici e sociali che il fenomeno della dispersione
determina. Lei ha messo in evidenza nella ricerca che ha curato per We World
insieme alla fondazione Bruno Trentin e alla Fondazione Agnelli proprio questo
aspetto, può spiegare qual è il costo della dispersione per il nostro Paese?
Occorre anzitutto
distinguere tra costo individuale e costo collettivo. Nel primo caso è
rilevante capire quanto costa, in termini sociali, occupazionali e di welfare
state la diversa carriera lavorativa di una persona meno istruita e formata.
Nel secondo caso invece si deve ragionare sul costo collettivo del fenomeno
della dispersione, ovvero quanto la collettività si fa carico nei termini di
cui sopra di una popolazione che in vecchiaia appare più indigente, anche a
causa di una posizione più precaria e potenzialmente tendente a disoccupazione
e inoccupazione.
Le ipotesi di costi
veri e propri, tuttavia, sono spesso azzardate, poiché si tratta di immaginare
se una platea di un milione di individui senza un titolo di studio secondario
possa o meno avere, una volta raggiunto un livello tale di istruzione, le
stesse possibilità dei cittadini istruiti.
Le ipotesi, in uno
scenario ottimale e positivo porterebbero a ritenere possibile un incremento
del PIL tra l'1 e il 4%. Tale stima tuttavia dovrebbe essere corretta al
ribasso, poiché buona parte di coloro che hanno una bassa scolarità presenta
appunto problemi di collocabilità nel mondo del lavoro: non possiamo sapere se
con un titolo di studio adeguato costoro sarebbero in grado di risolvere tali
problemi.
Dalla pubblicazione
della ricerca da lei curata e titolata come un famoso serial televisivo
americano, “Lost”, emerge che il tasso di abbandono scolastico in Italia è
decisamente superiore rispetto ai dati ufficiali di Eurostat. Da cosa dipende
questo scostamento? Quali sono i dati “reali” relativi al tasso di abbandono in
Italia?
Nel nostro Paese il
tasso di abbandono è superiore che altrove, ma va analizzato in modo diverso, a
seconda degli indici di cui disponiamo.
In base all'Eurostat
Early School Leavers - che conteggia i cittadini che tra i 18 e i 24 anni non
hanno raggiunto alcun titolo di formazione secondaria, né percorsi di
formazione professionale, o qualifiche biennali e triennali, o formazione su
lavoro nell'ultimo mese - la percentuale si attesta per l'Italia intorno al
15-16%.
Secondo l'OCSE invece
i tassi di abbandono sono decisamente maggiori, poiché vengono conteggiati solo
i livelli di istruzione secondaria che potenzialmente conducono all'università
o alla formazione terziaria (escludendo di fatto le qualifiche professionali di
due o tre anni). In questo secondo caso la percentuale del nostro Paese si
attesta attorno al 30%. Considerando tuttavia che gli obiettivi di Lisbona 2020
impongono il raggiungimento della percentuale del 40% di cittadini con titolo
di studio terziario, si rende necessario ragionare sulla sequenzialità del
processo formativo e soffermarsi più attentamente sui dati OCSE, che osservano
il numero di persone prive di un’istruzione secondaria necessaria per accedere
ad una eventuale istruzione terziaria.
Nella ricerca viene
data particolare rilevanza al terzo settore. Quali sono gli elementi
maggiormente significativi che emergono dalla ricerca?
In base alla recente
ricerca sono emersi diversi elementi interessanti. Colpisce anzitutto la
straordinaria eterogeneità di questo settore: si va dagli interventi
strutturati di Save the children, alle formule semplici ed estemporanee ma
ancora efficaci dei vari dopo scuola parrocchiali. Si osservano altresì
differenze territoriali e assenza o presenza di sinergie coi vari enti a
seconda dei contesti.
Al nord, per esempio,
il recupero scolastico è attività naturalmente presente e ben strutturata,
mentre al sud è in genere una pratica declinata come fenomeno di aggregazione
giovanile.
Contesti diversi
producono ovviamente esiti diversi e una programmazione delle attività molto
differenziata che spesso deve occuparsi di problematiche estremamente
variegate.
L'aspetto più
significativo su cui porre l'accento è infatti relativo alla flessibilità del
terzo settore e alle numerose attività disponibili: dal recupero scolastico
all'integrazione di stranieri e disabili, dall'inserimento di ragazzi
provenienti da strutture carcerarie all'aggregazione sportiva e culturale,
dall'organizzazione di gite scolastiche alle attività in biblioteca, ai
percorsi laboratoriali, all'inserimento di minori nomadi e Rom ... E così via.
Per ognuna di queste
attività un’istituzione pubblica dovrebbe deliberare bandi appositi ed
individuare esperti. La peculiarità del terzo settore permette invece di agire
su più linee d’intervento in contemporanea, anche grazie al volontariato e alle
numerose collaborazioni di giovani e personale, purtroppo precario, al suo
interno.
Quali dovrebbero
essere i punti di intervento da parte delle istituzioni pubbliche (parlo delle
scuole, degli enti locali, della regione e del governo) per contrastare in modo
efficace la dispersione scolastica?
Una vera lotta alla
dispersione dovrebbe anzitutto partire dall’abolizione delle bocciature come
unica strategia. Esse, infatti, non solo non risolvono i problemi alla radice
ma, al contrario, contribuiscono spesso a rendere accidentati i percorsi dei
futuri drop out.
Ciò detto, è anche
vero che i ragazzi a rischio smetterebbero probabilmente di frequentare a
prescindere dall'insuccesso scolastico.
In zone deprivate si
potrebbero quindi attivare sperimentazioni: l'erogazione di sussidi in base
alla presenza del minore a scuola (attuate in ambiente anglosassone con
successo parziale) potrebbe essere una possibilità. In Italia si è tentato di
attuare il cosiddetto reddito di inserimento, ma senza poi una analisi approfondita
delle ricadute.
Anche consentire
l'utilizzo delle scuole in orario extrascolastico potrebbe rivelarsi efficace:
in tal modo spazi culturalmente attivi potrebbero fungere da luoghi importanti
di aggregazione giovanile, estremamente richiesti soprattutto al sud e nei
contesti più difficili.
Un'ulteriore - e
ancora più efficace - linea d’intervento potrebbe essere la ristrutturazione
dei percorsi scolastici, attraverso la creazione di un biennio unificato di
scuola secondaria di secondo grado che consenta una scelta più consapevole dei
percorsi e degli indirizzi a 16 anni; si eviterebbe così una canalizzazione
precoce dei destini dei quattordicenni, spesso ancora acerbi e immaturi per
affrontare una scelta così importante e destinati in tal modo a subire
l'eventuale contraccolpo di decisioni affrettate o sbagliate.
Per approfondire:
Associazione Bruno Trentin, Fondazione Giovanni Agnelli, We World Intervita,
“Lost – dispersione scolastica: il costo per la collettività e il ruolo di
scuole e terzo settore”, Ediesse.
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